INTERCETTAZIONI, GIORNALISTI (COMODAMENTE) AL MANICOMIO

Siamo la caos, al marasma. Il tema apparentemente serissimo della trattativa stato-mafia sta rapidamente scivolando dalla tragedia alla farsa. Tutto in nome del diritto di cronaca e di rivelazione, ad uso di un pubblico, che assiste sconcertato ad una battaglia tanto feroce quanto inutile. Con un’unica eccezione: se il bersaglio non fosse la mafia, ma il Presidente Napolitano allora una sua efficacia la montagna di chiacchiere giornalistiche ce l’ha. Ma sul tema principale siamo al buio. Non sappiamo se ci fu davvero una trattativa. Non sappiamo cosa si intenda per trattativa con la mafia. A occhio, se a condurla fosse stato il generale Mario Mori, ho il sospetto che si tratti di un modo per arrestare più mafiosi. Non sappiamo quanto sarebbe durata, perché la si colloca al tempo di Scalfaro, ma così non serve a coinvolgere Berlusconi. E allora ecco che come un elastico si allunga di dieci anni. Fatti pochi e confusi. Ma il tema è diventato via via un altro completamente diverso: è giusto intercettare e diffondere le conversazioni private del Presidente della Repubblica? Secondo me, no.

Non è di nessuna utilità, a meno che non contengano reati, E in questo caso deve essere investito il Parlamento. Ma il Fatto, Di Pietro, Zagrebelsky ed altri 150 mila italiani pensano l’opposto. Sbagliano ma potremmo finirla qui. E invece giornali e televisioni sguazzano e adesso Panorama inaugura le conversazioni riferite di seconda mano. Che sono come le intercettazioni trascritte, orrore purtroppo già visto in questi anni. Il giudizio non cambia: grave la pubblicazione integrale, altrettanto riferirne. Perché, al fondo non c’è un vero motivo. Il diritto di cronaca si applica ad una notizia di pubblico interesse. E le conversazioni private di Napolitano non lo sono. Non sono segrete, come scrivono. Sono private. Come la corrispondenza del Papa. Ma il giornalismo italiano non vuole a nessun costo uscire dal manicomio dove sta comodamente.